Buongiorno a tutti, sono Giovanni Sironi, responsabile area ricerche di Fondazione Bertini Onlus, ente del terzo settore che opera dal 2007 al fianco delle istituzioni, principalmente in un’area lavoro, attuando progetti di formazione e inserimento lavorativo di giovani con disagio psichico e sociale, e in un’area ricerche, svolgendo un’attività di ricerca e di sviluppo tecnologico mirata alla costante innovazione nelle strategie con cui si affronta il disagio, e alla sempre migliore comunicazione e trasparenza dei percorsi effettuati, nella convinzione che siano queste due direttrici fondamentali in un discorso complessivo di inclusione sociale. Ringrazio il comitato tecnico per l’innovazione in Psichiatria, e i colleghi di Eupolis, che ci hanno commissionato questa ricerca e accompagnato in tutte le sue fasi, dimostrando un costante e vivo interesse all’ottenimento di risultati utili e significativi per il lavoro quotidiano degli operatori. Ed è proprio agli operatori che voglio inviare un ringraziamento particolare, ai 231 operatori che hanno risposto ai questionari e partecipato ai focus group, perché hanno testimoniato di un mondo che generosamente profonde ogni giorno il proprio impegno in situazioni difficili, ci piacerebbe essere riusciti a rendere trasparente almeno una parte del loro lavoro.
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La ricerca, avviata nel mese di giugno 2011 e conclusa dodici mesi dopo, ha avuto per oggetto i due progetti innovativi di residenzialità avviati nell’ambito del Piano Regionale Salute Mentale 2004, le Comunità Riabilitative a media assistenza (CRM) e le Residenzialità Leggere (RL), con l’obiettivo di mappare e valutare la recezione da parte dei servizi territoriali di tale innovazione sul piano normativo. La prima azione di ricerca è stata la mappatura delle strutture e degli operatori coinvolti. Se nel caso delle CRM la mappatura ha previsto unicamente la determinazione dei responsabili di progetto e dei case manager, avvalendosi di un quadro di partenza già definito in termini di strutture e indirizzi, le RL, che da normativa prevedono la “partecipazione dei cittadini e l’intervento dei Comuni”, e per cui vale un’asimmetria fra progetto e appartamento, potevano riservare più di uno scenario possibile. Il primo ordine di risultati è quindi ridato dal censimento e dalla georeferenziazione di 147 unità abitative, corrispondenti a 22 CRM e 125 indirizzi di RL (60 progetti, 173 appartamenti), per un totale di 275 utenti in carico a 311 operatori nelle CRM, e 399 utenti per 325 operatori nelle RL (dati a gennaio 2012). Sono ora a disposizione dei decisori gli output di un WebGis (Sistema Informativo Geografico) in grado di relazionare la localizzazione dei progetti innovativi ai singoli CPS e alle sedi dei DSM, permettendo interrogazioni di diverso tipo.
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È ora in questo modo possibile confrontare, a seconda delle differenti esigenze,
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Il secondo ordine di risultati è ridato dalla survey, che ha permesso di descrivere analiticamente ciascuna delle 147 unità così georeferenziate. Nell’arco di quattro mesi sono stati coinvolti 814 soggetti: 231 operatori con tecnica CATI
78 responsabili di progetto/struttura,
114 case manager,
39 referenti territoriali
380 utenti e 203 familiari, con invio per posta.
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Per ciascuna delle 147 unità abitative i decisori possiedono oggi una scheda descrittiva a 34 parametri nella quale convergono i punti di vista di questi cinque soggetti coinvolti. Abbiamo, per ciascuna abitazione, una serie di variabili descrittive
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AbitazioneNumero utenti
Numero unità abitative all’indirizzo
Numero di locali per utente
Genere
Età media
Mesi di permanenza media
Numero operatori
Rapporto operatore / utente in numero di ore settimanali
Età media
Anzianità
Composizione team
Contesto
Zona
Dimensioni comune
Presenza e collaboratività dei familiari
Engagement del responsabile di progetto
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IndicatoriQualità interna
Qualità esterna
Integrazione del gruppo
Integrazione con il vicinato
Soddisfazione generale
Soddisfazione per l’autonomia.
È in questo modo possibile per i direttori di dipartimento avere rapidamente sotto mano dei parametri quantitativi di confronto, che possono contribuire in varia misura ai confronti allargati e ai processi decisionali. Non solo, quindi, è possibile per i decisori confrontare i punteggi di qualità, soddisfazione e integrazione, ma anche sapere, attraverso gli indicatori di affidabilità, la misura in cui i differenti punti di vista convergono o divergono nella determinazione di tali punteggi.
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L’alto tasso di risposta alla survey ha permesso di enucleare, come componente finale della scheda, quattro cluster di comportamento per le CRM e cinque cluster di comportamento per le RL, che vanno a determinare il colore del punto dell’unità abitativa nell’elaborazione geografica principale, che riassume in un solo prospetto i principali risultati descrittivi ottenuti.
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I cluster, elaborati automaticamente nel corso delle analisi statistiche, rappresentano delle modellizzazioni di assetti ricorrenti di relativo successo e relativa difficoltà. Alle pagine 253 - 272 del rapporto di ricerca è illustrato nel dettaglio come, ad esempio, il principale modello di successo delle RL ottenga i migliori punteggi di soddisfazione e integrazione nonostante una modesta qualità interna ed esterna, o come una CRM si differenzi nettamente dalle altre andando a costituire da sola un intero cluster, e così via.
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Accanto a tale determinazione delle singole unità abitative, i sei indicatori messi a punto hanno permesso di dare alcune indicazioni generali, come il confronto fra composizioni diverse del team operatori, fra diverse tipologie di abitazione, fra diverse dimensioni del comune, e così via (cfr. pagg. 238 sgg. Rapporto di ricerca).
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È a questo proposito opportuno mettere in evidenza che, nonostante vi sia una variabile con media di 3 su 10, e diverse con media di 6 su 10, le domande sulla soddisfazione per i progetti innovativi ottengono complessivamente un punteggio medio superiore a 8 punti su 10, testimoniando al di là di ogni dubbio di una recezione largamente positiva dei progetti innovativi.
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Il terzo ordine di risultati è rappresentato dall’esame qualitativo derivante dai 25 focus group condotti nell’arco di tre mesi nelle diverse unità operative.
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Più di cento pagine del rapporto di ricerca sono dedicate alla rassegna analitica dei temi della quota sociale, del percorso terapeutico, del percorso abitativo, della rete naturale, del lavoro d’equipe, del rapporto pubblico / privato, ciascuno dei quali diviso in diversi sotto-temi, resa possibile dai. Per ciascun tema è possibile un’estrazione segmentata dal sistema informatico delle porzioni ad esso relative dei diversi verbali, andando ad ottenere dei singoli fascicoli in grado di comparare in modo sintetico l’interpretazione del tema data dai diversi territori. Tale possibilità e particolarmente utile nel caso del tema della quota sociale (cfr. pagg 138 - 143 rapporto di ricerca), ma anche per esempio per il tema dei rapporti con il volontariato e le reti, e in generale per tutti gli aspetti in cui territori con più difficoltà possano trarre ispirazione e giovamento dalla conoscenza delle strategie messe in campo dalle unità operative con più successo. I focus group sono stati anche il luogo in cui le criticità percepite dagli operatori sono state maggiormente messe in evidenza. Nei singoli aspetti, che vanno dall’assistenza notturna nelle CRM alla generale difficoltà negli inserimenti lavorativi, dall’invio di utenti non adeguati ai percorsi alla difficoltà nell’incontrare collaborazione da parte dei Comuni, dalla scarsa flessibilità da parte degli operatori all’eccessivo carico di lavoro degli stessi, dall’alta permanenza media degli utenti alla limitatezza di prospettive di dimissione. Questo tuttavia non impedisce il reperimento di una diffusa attitudine pragmatica alla conoscenza e all’isolamento dei problemi, alla connotazione individuale delle situazioni, alla comunicazione e messa in luce dei cambiamenti, all’utilizzo dei budget per attuare delle sperimentazioni e confrontare delle possibilità individuali.
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Attraverso uno sforzo di sintesi, è stato possibile identificare tre buone prassi principali, accanto a numerose altre che sono diffusamente descritte nel report. Possono essere così definite: contrattare con il territorio; sperimentare i contesti; diffondere i processi di conoscenza e di perspicuità delle situazioni. Mutuando la formulazione di un maestro, possiamo affermare che in nessun punto della ricerca è emerso un servizio ideale, ma questo non ha impedito di individuare molteplici servizi sufficientemente buoni. Un servizio che sia in grado ad esempio di utilizzare il proprio budget per sistemare la casa di un utente, in cambio dell’ingresso di altri utenti nell’abitazione, tramutando una situazione di emarginazione, degrado e isolamento in un piccolo gruppo sperimentale agganciato ai servizi, potrà avere situazioni più o meno difficili, ma ha saputo contrattare con il territorio, e innescare dinamiche evolutive. Viceversa, se un servizio deve, con il medesimo budget per utente, inviare un educatore a una sequenza di appartamenti monoutenti lontani fra loro, avrà “poche ore” anche con un sensibile aumento delle risorse. Ugualmente, abbiamo servizi che hanno affrontato in molti modi, anche creativi, il tema della quota sociale e del rapporto con i comuni (non quota ma abitazioni, ingresso dei piani di zona, fondi intercomunali); viceversa, è presente il rischio di permettere la risoluzione del problema attraverso il semplice “accreditamento” come residenzialità leggera di assistenze domiciliari ad utenti che risiedano singolarmente in abitazione di proprietà. Abbiamo servizi che conoscono le proprie situazioni, fanno calcoli, si chiedono cosa costi di più e cosa di meno, si chiedono come si possa interpretare la normativa, individuano dei micromodelli di sostenibilità, hanno le proprie prospettive su cosa possa essere l’housing sociale in psichiatria, conoscendo e valorizzando le possibilità dei propri territori; parlando con loro si ha il quadro di una situazione molteplice, differenziata, in cui molte cose accadono e sono comunicabili, in cui si ha a che fare non con problemi generici, cronici e inaffrontabili, bensì con storie individuali, che là dove presentano problematiche presentano anche delle risorse, e con progetti collettivi, che fanno uso dei budget e diversificano delle possibilità. Questi servizi sono “sufficientemente buoni”, e la loro attitudine va incoraggiata, modellizzata, diffusa. Dotarsi degli strumenti in grado di ricostruire l’intervento dei servizi nelle singole dipanazioni interdipartimentali, di permettere analisi longitudinali, di comparare risolutamente differenti modelli di intervento, affinché la condivisione di questa attitudine evolutiva diventi sistematica e transterritoriale: è questa anche la prospettiva di lungo periodo che la Fondazione persegue in partnership con le Istituzioni. Vorrei terminare dando la parola a qualche brevissimo estratto dalle risposte “aperte”, dove prendono voce insieme operatori e utenti.
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Bisogna cambiare forma mentis di comuni e cittadini, c’è ancora l’idea “E’ un paziente psichiatrico? Che vada in Comunità”
Gli utenti tendono a vedere nelle persone straniere delle persone “fragili” e quindi solidarizzano con loro, fanno addirittura delle partite di scacchi insieme.
il fatto di risiedere un condominio e quindi di poter relazionarsi con le persone, facendo conoscere la disabilità psichica non come paura ma possibilità di convivenza possibile
IL CONTESTO ABITATIVO IL LAGO IL PAESINO PICCOLO SONO LE CARATTERISTICHE CHE PIU’ GLI PIACCIONO, NON VIENE CONSIDERATO un NUMERO O UN PESO
la cosa che più mi duole è che la maggior parte degli ospiti si sentono costretti o dai famigliari o dai cps a entrare nelle strutture. Quindi non le vivono così come dovrebbero essere vissute cioè come un percorso comunitario di vita che offre la possibilità di crescere, di smussare degli angoli, di mettersi alla prova, di rimettersi in gioco.
E’ IMPORTANTE PIU’ DI UNA FAMIGLIA CI VOGLIAMO BENE E CONDIVIDIAMO LE NOSTRE MALATTIA
IL POTER DIRE TORNO A CASA